1 mese e 1 giorno di storie. Non abbandoniamoli
1 mese e 1 giorno dal giorno più lungo.
Ormai mi sono abituata alle telefonate da numeri che non conosco, al fatto che il mio numero sta circolando per tutta la Bassa. Quello a cui ancora non riesco ad abituarmi, per il quale ogni volta che metto giù devo estraniarmi per non crollare emotivamente, sono le storie.
C’è D. che mi telefona un venerdì, mentre sto andando al mare in scooter.
Mi dice che vive vicino a Mirandola e la sua casa è inagibile, tutte le case della sua famiglia sono inagibili e suo padre, che ha 80 anni, dorme in auto da un mese. Si perché non vuole lasciare la terra, la casa che gli dovranno tirare giù e teme che se si allontana qualcuno gli rubi qualcosa, i campi vadano in malora.
Mi dice che mi ha contattato per una roulotte per lui, che D. si arrangia, ma suo padre, suo padre ha 80 anni e dormire in auto con 40 gradi e tutto quello che comporta, comincia a diventare difficile.
C’è F. che mi cerca di nuovo. La persona che gli ha prestato la roulotte, per la quale già ci eravamo sentite, ora ne ha bisogno per le vacanze e lei mi chiede se ho qualche altro nominativo da passarle. F. ha 55 anni e la sua casa la fanno sempre vedere alla televisione. Ciò che resta della sua casa nel centro di Cavezzo. Perché il palazzo non esiste più.
F. ha una figlia che ha una figlia. La figlia della figlia ha 4 mesi. Sono tutti senza un tetto sulla testa. Dice poi F. che a lei adesso gli appartamenti fanno paura. Preferisce una roulotte, almeno per un po’, almeno fino a quando la testa non si convince che la terra non può ricominciare a tremare.
Lei lavorava come interinale in una delle aziende del biomedicale che hanno dovuto chiudere perché i capannoni si sono lesionati. Il suo contratto scade oggi, ma è fiduciosa F., perché l’azienda dove lavora come interinale vorrebbe riprendere tutti e sta lavorando per riaprire nei prossimi giorni. E’ l’unica che lavora in famiglia F.
Dice che lei è fortunatissima per questa cosa. Dice F.
Però ha bisogno di una roulotte. Dice che quella che gli hanno prestato era fantastica, anche perché riuscivano a essere autonomi con l’acqua e il gas. Dice che adesso questo è un problema, non gli hanno dato gli attacchi, dice che se non sei nei campi ufficiali è difficile avere l’attacco per acqua e luce e con la bambina, insomma, sarebbe meglio.
Ci sono i parenti della mia amica che domenica scorsa, da La Motta, sono venuti a trovare l’anziana nonna sfollata a Montombraro, ospite del padre della mia amica. Per ringraziarlo hanno portato frutta di stagione raccolta nei loro campi, hanno portato anche i maccheroni al pettine fatti in casa e una ciambella soffice come un cuscino.
Hanno fatto tutto tra un container e la casa inagibile. In mezzo alla loro terra.
Io ho mangiato con loro ed è stata una gran festa, si è parlato di terremoto ma anche di cose belle, case, palazzi, chiese che ora non ci sono più. Mi hanno raccontato dell’argine e di un ponte che collegava La Motta a Rovereto sul Secchia e del cippo dei partigiani, che c’è sopra anche il nome di un loro parente.
Queste persone, tutte queste persone, ognuna di loro ha una storia.
A volte temo che tutte queste storie rimangano inascoltate, specialmente da chi dovrebbe dare una mano – concretamente – a queste persone. E’ vero che noi emiliani teniamo botta, siamo operosi, imprenditori di noi stesse e tutte quelle cose belle che dice la Tv, ma questo non deve diventare una SCUSA perché lo Stato si dimentichi di queste persone, delle loro necessità, delle difficoltà economiche di chi – oltre al terremoto – sta scontando anche la crisi.
E se sapete di qualcuno che presta o regala roulotte, scrivetemi per favore, lo metterò volentieri in contatto con una di queste storie.
E GRAZIE per quello che fate.
Bisogna raccontarle le storie Francesca. Come ho scoperto io a suo tempo, sono l’ unica cosa che ci ricordano chi siamo e da dove veniamo.