Confini
Confini. Ci sono confini in tutte le vite. Finisce un periodo, ne inizia un altro che sta lì, sul confine del cambiamento.
Ci sono confini nei luoghi, ci sono luoghi di confine, in equilibrio su molti mondi. Come questo. Da una finestra vedo il Cimone e il Frignano, ancora più in là la Toscana. Mi sposto sul terrazzino e lo sguardo sprofonda sulla piana bolognese. In bilico tra le valli del Panaro, del Setta e del Reno.
Confini. La sera il cielo si tinge di un colore caldo tra l’azzurro e l’arancione. Sembra rosa, ma sono sicura che non sia quello.
Confini. Un’estate di confini.
Sento il cambiamento che scorre, un’altra me che sta prendendo il sopravvento. Mi sento una lasagna. Ci sono strati sotto e strati sopra e gli strati aumentano. La lasagna è buona perché ci sono tutti quegli strati. Ora non dico che io sono buona come una lasagna, per carità, che tra tutta questa adipe aggiunta e il malmosto e la vecchiaia, secondo me risulterei un po’ stopposa al gusto, ma io per me, ecco, mi sento una lasagna completa. Nel momento attuale, intendo.
Non vorrei, per dire, essere un maccherone. Mi piace questa cosa degli strati.
Confini. I montanari sono degli zucconi, diceva ieri sera la guida che ci portava in giro con le fiaccole, per il Borgo antico, raccontando di quei tempi in cui – nel Risorgimento – la gente del luogo non ne voleva sapere di dismettere la bandiera estense per il tricolore.
Ci vuole una buona dose di coraggio per vivere la vita guardando avanti, per non subire il rischio dei confini. Qui ne sapevano qualcosa. Che nei secoli, tra banditi, guelfi e ghibellini, ne hanno visto parecchio di sangue scorrere per questa posizione di confine.
Scorre sempre del sangue quando lo sguardo si perde tra tutte le possibilità della vita. Bisogna saltarci dentro alle cose e succede che delle volte ti sbucci un ginocchio, inzucchi la testa, ti fai un po’ di male.
Confini. Ho sempre sentito dentro molte anime. Per lo più rido, per lo più piango. Ho occhi sulla faccia e sulla nuca. Un paio guardano avanti, un paio cercano indietro.
Confini. C’è questo goccio di sangue siculo che si mischia a un sangue emiliano-romagnolo, sangue di confine, per antonomasia.
Noi che viviamo in una regione che sono due e il nonno biso che viveva nella casa che guardava ai canaletti ferraresi e aveva un piede in terra bolognese.
Questi confini che mi circolano dentro.
Ho ricominciato a camminare qui. A cercare i confini. Mentre mia figlia corre tutto il giorno scalza in giardino, io mi infilo le cuffiette e parto.
A guardare i confini di questo mondo agostano. Ad annusare odori e raccogliere fiori.
Oggi notavo che da vent’anni ascolto sempre le stesse canzoni. Forse dovrei cambiare. Le gambe spingono sulla salita, mantengono in discesa, il cuore pompa sangue ai polmoni e io cammino.
Cammino.
Cammino e scrivo mentalmente. Penso. Raccolgo idee che sono come pasta frolla, se non le metto in forno perdono di consistenza.
Sono nei confini. Sul filo teso da un punto all’altro. In bilico tra quello che sarò e quello che sono stata. La chiromante mi ha detto che devo abbandonare il passato, schemi vecchi e muffi. La chiromante mi ha detto di guardare con fiducia al futuro.
Che 4 occhi non servono a niente se usi solo quelli piantati sulla nuca. Rischi di schiantarti sui confini.
Mentre io di questi confini voglio nutrirmi. Nella loro ambiguità, nel loro strano viaggiare tutti insieme per ricordare, altezzosi, che siamo tutti un impasto di territori diversi, storie che si affastellano e non sono mai la stessa, anche se noi portiamo sempre lo stesso nome.
Come le lasagne.
Questo post è bellissimo Panz…
Me lo sono letto e riletto e mi ci sono immersa completamente.
Io, per parte mia, mi sento un po’ spaghetto… Sai quando li metti nel piatto, caldi e profumati, tutti attorcigliati tra loro?
E stanno lì tutti ingarbugliati…
Ecco, io al momento sono un po’ così, spaghetto tra gli spaghetti, indissolubilmente ingarbugliato a spaghetti-marito,spaghetti-genitori, spaghetti-figli… Una bella matassa affettiva, che riempie la pancia e delizia il palato…
Ovviamente, da buona sicula, sottintendo il fatto che, se spaghetto devo essere, almeno sono uno spaghetto alla norma, con l’olio delle melanzane, un po’ pesantino, ma anche il profumo del basilico, che sa far volare.
Bellissimo Panz’…davvero intenso e vero come tutte le cose che scrivi dal tuo profondo.
Ho gli ultimi 4 giorni di lavoro e torno nela mia amata Puglia, altra terra di confine dove i gusti contadini si mescolano a quelli marinai…eppure…mi sento un raviolo, anzi meglio un tortello: un nodo che nasconde un ripieno, ma pieno pieno eh?!
Sto cercando la forchetta giusta per far aprire lo scrigno e permettere al ripieno di espandersi nelle giuste direzioni del gusto…leggerti può aiutarmi o almeno ispirarmi!!!
Buona fine estate…che poi è la parte che preferisco, quando passa il turbine ferragostano.
sai panz… a volte vorrei essere una lasagna come te… e invece troppo spesso mi sento uno spaghetto aggrovigliato…
Tante volte vorrei davvero essere come te. sei un bel esempio. davvero.
Tu sei una lasagna meravigliosa: piena di sapore e consistenza.
Ed io? bah…devo pensarci…
Mannaggia, a leggere questo post sui confini mi sono emozionata e c’ho le lacrime agli occhi. Bello davvero …
ragazze grazie a tutte per i bellissimi complimenti e grazie per aver proseguito il mio pensiero, dicendo anche voi “di che pasta siete” 😉