Pelagia, Irma e il giorno della memoria
Oggi che è la Giornata della Memoria vorrei simbolicamente segnalare due storie. Entrambe di donne.
Una è Pelagia Lewinska, che ha scritto un libro sulla vita nei campi di concentramento (ebrea, di nazionalità polacca, rimane nlla prigione di Cracovia fino al 23-01-1943, quando viene deportata ad Auschwitz). Parti del suo libro sono disponibili in formato pdf sul sito dell’Istituto Gramsci di Cultura.
L’altra storia – non di ebrea ma di donna “resistente” – è quella di Irma Bandiera.
Sono profondamente legata al ricordo di Irma Bandiera e mi sembra importante raccontare la sua storia.
Voglio farlo attraverso le parole dello scrittore Pino Cacucci che le dedica un capitolo in Ribelli:
Con muto silenzio
In famiglia la chiamavano Mimma. Quando nacque, nel 1915, il padre veniva arruolato per la Grande Guerra, che di “grande” ebbe soltanto il massacro di contadini dall’una e dall’altra parte della trincea. La madre, disperata per la partenza forzata del marito, si consolava dicendole: “Meno male che sei femmina, almeno tu non andrai in guerra…”. E invece, quella guerra avrebbe lasciato tornare l’uomo di casa, mentre la successiva si sarebbe presa proprio Mimma.
Durante il ventennio fascista, Irma Bandiera cresceva al riparo dalla violenza, protetta dall’appartenenza a una famiglia benestante che, pur coltivando ideali democratici, non si esponeva manifestandoli apertamente. L’hanno descritta come una ragazza allegra, generosa, dal carattere calmo e riflessivo, mai un colpo di testa, mai un gesto avventato. Qualcuno l’ha definita “una signorina sofisticata”. Quando l’Italia entrò in guerra Irma aveva venticinque anni. Poteva unirsi agli sfollati scegliendo una dimora in campagna sufficientemente agiata e confortevole, non le mancavano i mezzi e le conoscenze per risparmiarsi la paura dei bombardamenti e la penuria della vita quotidiana in città. Invece, cominciò a frequentare gli ambienti antifascisti bolognesi all’insaputa dei genitori, e quando fece il grande passo, diventando militante dei GAP, staffetta partigiana e poi combattente della 7ª Brigata, andava e tornava da casa per partecipare ad azioni rischiose senza che loro sospettassero nulla.
La catturarono il 7 agosto del 1944. Tornava da una consegna di armi alla base di Castelmaggiore, e portava con sé documenti cifrati. Per i carnefici aveva una doppia colpa: si rifiutava di rivelare i nomi dei compagni ed era donna. Si alternarono su di lei in tanti, ognuno inventando nuovi tormenti e sevizie innominabili, ma la Mimma non parlava. La baldanza si tramutò in livore e frustrazione: avevano fatto parlare tanti uomini, spesso grandi e grossi, robusti come tori, cocciuti come muli, e quella lì… una donnina esile, apparentemente gracile, niente. Non apriva bocca. E li fissava con quei suoi grandi occhi che risaltavano sul viso magro e la fronte ampia… Li guardava con un muto disprezzo, tutto il disprezzo del mondo concentrato in quegli occhi. Così, la accecarono.
Era ancora viva quando il 14 agosto gli aguzzini la scaraventarono sul marciapiede, al Meloncello, sotto la finestra dei genitori. Uno disse: “Ma ne vale la pena? Dacci qualche nome, e potrai entrare in casa, farti curare… Dietro questa finestra ci sono tua madre e tuo padre”.
Mimma non rispose. La finirono con una raffica di mitra, e se ne andarono imprecando.
Uno strano sentimento
Nell’Istituto della Resistenza ho letto la testimonianza di un compagno di Irma Bandiera che faceva parte del suo gruppo, un partigiano chiamato Cestino. Appresa la notizia della cattura, si pose il problema se abbandonare i rifugi da lei conosciuti. È sempre stato così, in qualsiasi lotta di resistenza a dittature in qualsiasi parte del mondo. Tutt’al più, dal combattente caduto ci si aspetta qualche ora di silenzio, per dare il tempo agli altri di fuggire, ma poi, non si può pretendere da nessuno che sopporti le torture fino alla morte. Cestino disse: “La conosco, la Mimma, lei non parlerà”. E rimasero dov’erano.
Ho provato uno strano sentimento, abbastanza simile alla rabbia, ma diverso. Una sorta di delusione nei confronti dell’amicizia, che doveva unirli quanto e più degli stessi ideali. Che diritto avevano di pretenderlo? Come si può pensare che un essere umano resista per sette giorni e sette notti a tanto orrore? Mimma lo ha fatto. Non ha parlato. Nessun altro venne catturato.
Ma se avesse ceduto allo strazio del corpo e alle abominevoli umiliazioni inflitte al suo spirito, se Mimma avesse parlato… sarebbe forse meno limpida la sua figura, meno giusto il bisogno di conservarne la memoria?
Nessuno aveva il diritto di pretenderlo, e neppure di aspettarselo.
Pino Cacucci, Ribelli
Passo ogni giorno davanti alla lapide che commemora il luogo dove la Mimma fu accecata e uccisa. Frollina ed io le mandiamo un bacio, ogni giorno.
Perché grazie a donne come lei, noi abbiamo un diritto di scelta migliore.
Non lasciamoci sfuggire questo dettaglio, apparentemente insignificante.
Panz, grazie.
Sia perchè non ci permetti di dimenticare, sia per il bacio che dà tua figlia. Il tuo è scontato, il suo è un po’ come il nostro futuro.
Sto letteralmente piangendo e trovo indescrivibile il vostro rito di mandarle un bacio… ma perchè dimentichiamo le Donne con la D maiuscola che sono capaci di cose che io trovo impossibili? La prossima volta dai un bacio anche da parte mia.
Ferga
Bellissimo post. Mentre lo leggevo ho pensato a mia nonna e tutto ciò che ha sofferto durante la dittutura spagnola. Spero di non dimenticare mai i valori di libertà e democrazia che mi ha insegnato.
Non conoscevo la storia di Irma Bandiera. Mi ha colpita e profondamente commossa. Grazie.
Grazie.