Partecipanza ed impegno: un illuminatissimo parere di Capitan Carlok
Pubblico con piacere il “succulento commento” che ha postato il mio amico Capitan Carlock in merito al post “Partecipanza ed impegno” di ieri, perché lo trovo molto bello e mi fa piacere che il mio momento di blogorrea abbia sortito gli effetti che speravo.
Anch’io credo nei collegamenti tra i due eventi (locali e nazionali) e personalmente sono assolutamente convinta che solo guardando le cose “dall’alto” in una prospettiva non esclusivista e di eccezionalità dei singoli eventi, si possa cominciare a FARE qualcosa; si possa decidere di responsabilizzare le proprie azioni, anche quelle che consideriamo di poco conto ma che, considerate come piccoli granelli di sabbia che fanno il deserto, hanno una valenza e un significato globale.
E allora grazie, Capitan Carlock, e speriamo che anche altri vogliano dire la loro!
Credo che in realtà i due eventi che descrivi siano strettamente correlati; e il trait d’union (scusate il parolone) è rappresentato da un dato che, da sfiduciato e disilluso quale sono diventato, ritengo possa essere costitutivo dell’uomo (inteso come essere umano).
Anche per causa di una forte e assai spiacevole esperienza personale, mi sono reso pienamente conto di quanto sia vero ciò che scrivi a proposito di: “se ognuno coltiva il proprio orticello e muove il culo solo quando a farne le spese è il proprio giardino […].
Partecipo/-iamo poco alla vita della nostra città, subendo decisioni che non condividiamo ma che ci riguardano e, anche quando non ci sembra che sia così, avvalliamo la noncuranza verso tutta una serie di eventi” eccetera.
Penso che gli eventi piccoli, quelli della nostra vita personale, siano uno specchio di quelli più grandi, che riguardano la politica del Paese e i suoi vari accadimenti.
Perché alla base di tutto rimane la stessa cosa: l’uomo. O meglio, gli uomini.
Cosicché, un pezzo di merda egocentrico e senza scrupoli o veri sentimenti verso il prossimo, e affascinato morbosamente dal potere e dalla sua gestione (piccolo o grande che sia, dato che in questo discorso ciò che conta è per così dire il dato strutturale), ha potuto, “urlando assurdità semantiche”, fare i propri comodi perpetrando del male ad altre persone con il plauso e la connivenza di altri per interesse, o l’indifferenza di terzi che pure erano coinvolti.
Non so quale delle due posizioni sia peggiore, ma penso presumibilmente la seconda, perché è proprio quando si avvallano, tacitamente o meno, delle situazioni o degli atteggiamenti di cui nel profondo del nostro cuore riconosciamo l’ingiustizia, è proprio in questo preciso momento che permettiamo alle cose di andare nel verso sbagliato, che lasciamo che le merde vincano. (Ma forse qualcuno, in questi casi, preferisce rigirare la questione prospettando e sventolando la bandiera del manicheismo, accoccolandosi pertanto nell’alibi del relativismo, che, per sacrosanto che sia, troppe volte fa troppo comodo, e soprattutto non vi si crede affatto.)
In queste circostanze, inoltre, penso che non valgano a nulla le cosiddette buone intenzioni (di cui è lastricata la strada per ogni inferno), né valga l’incoscienza, il non rendersi conto.
Perché ognuno di noi, in realtà, credo che possa possedere, o procurarsi, i mezzi per aprire gli occhi: ma semplicemente non lo vuole fare. (Va bene, per qualcuno è in effetti molto difficile entrarne in possesso…).
E ritengo stia proprio qua il punto, che la maggior parte delle persone si rifiuta di prendere coscienza, di ragionare con lucidità e mettendo da parte il proprio orgoglio e il proprio sé nell’ascoltare gli altri, perché il farlo significherebbe assai probabilmente mettere in discussione (anche continuamente!) un’intera vita, esteriore e soprattutto interiore; significherebbe permettere al mondo di crollare sotto i propri piedi, rimanere per un buon periodo di tempo senza agganci, subissati e come sommersi dalle proprie paure e dai propri dubbi.
Non credo, allora, che vi sia mancanza di intellettuali, quanto assenza di ascoltatori.
Concordo che questa sia un’operazione assai difficile e dolorosa, specie per chi risulta insicuro e fragile. Allo stesso tempo, però, penso riesca egoistico il chiudersi in sé e rifiutarsi di affrontare la questione, per quanto lo si possa fare senza rendersene conto.
Dunque, in sostanza, credo che sia precisamente da questa contraddizione profonda che l’essere umano non riesca ad abdicare, forse addirittura per un suo dato costitutivo, come dicevo all’inizio. Secoli, o meglio millenni di storia, stanno là ad ammonirci e a dimostrarlo, in barba a tutte le visioni teleologiche (altro parolone, scusate di nuovo).
In attesa, appunto, di un nuovo, ciclico, “uragano”.
Capitan Carlock