Linguaggio e silenzio
Ci si indigna sempre molto di ogni nuovo attacco terroristico; a livello politico, ci si indigna soprattutto quando a morire sono italiani, come è successo, di nuovo, oggi a Nassyria.
Ma non ci si indigna abbastanza di fronte a chi sostiene che quella in Iraq, in Medio Oriente, non sia una guerra ma una missione di pace.
Finché muoiono iracheni che vanno al mercato a causa delle bombe americane, resta una missione di pace, fallibile come fallibili sono gli uomini; quando a morire sono soldati occidentali, allora diventa un attacco terroristico.
Negli ultimi anni ci hanno abituato a chiamar terroristi solo un certo gruppo di persone e nel linguaggio si è naturalizzata una terminologia guerresca che poco si addice a presunte “esportazioni di democrazia” e “missioni di pace”.
Personalmente però comincio a pormi dei seri dubbi su chi è – davvero – il terrorista o se in questo gioco al massacro esistono ancora dei “buoni”…
e i morti restan morti, qualunque colore abbia la loro pelle e malgrado nobilitazioni linguistiche di ogni genere.
Che amarezza…
nb: il titolo di questo post corrisponde al titolo di un meraviglioso saggio di G. Steiner, che indaga bene i mali di quest’epoca e la loro percezione linguistica
Finché muoiono iracheni che vanno al mercato a causa delle bombe americane, resta una missione di pace, fallibile come fallibili sono gli uomini; quando a morire sono soldati occidentali, allora diventa un attacco terroristico.
Sono pienamente d’accordo.
E poi come potrà mai la guerra portare la pace ?
Bella favoletta si sono inventati per giustificare i loro interessi :-/
Ciao !