Fare cittadinanza attiva con il digitale: il mio percorso
Mi sono innamorata del digitale quando ho scoperto il web a cavallo tra i due millenni, perché secondo me era uno strumento potentissimo per realizzare molte cose, per comunicare e anche per fare cittadinanza attiva.
E’ stato sull’onda di questa convinzione che a gennaio 2008 mi venne l’idea – condivisa poi con tanti altri blogger e persone che usavano attivamente il web prima dei Social Network – di Blogaction, Azione politica in Rete e del relativo sito e iniziativa di mail bombing per “fare politiche di civiltà in Italia”.
Sempre convinta che il web potesse essere uno strumento di cittadinanza che dava a tutti la possibilità di partecipare, di creare reti reali e scendere in piazza coordinando iniziative e fare campagne di sensibilizzazione, nello stesso anno diedi vita a Donne Pensanti, un progetto che – nella mia testa – doveva coinvolgere le persone dal basso, con un’azione estremamente pop, per sensibilizzare tutti su un tema fortemente sentito in quegli anni, ovvero l’uso indiscriminato del corpo delle donne in comunicazione e politica.
Donne Pensanti fu un progetto su cui mi impegnai tantissimo. Si trattava di cittadinanza attiva per ciò fu un impegno extra professionale che a tratti diventò però totalizzante. Si era creata una bella e affollata comunità di persone e idee intorno al progetto e a un certo punto mi piacque l’idea di trasformarlo in un’associazione. Volevo che digitale e reale fossero fortemente collegati e che le pratiche online e offline trovassero una via virtuosa per rendersi più efficaci a vicenda.
Non avevo ancora la maturità giusta né l’esperienza – al momento in cui decisi di aprire quell’associazione – per creare un vero gruppo di lavoro affiatato e che avesse una comunanza di intenti e ben presto capii che la mia idea, l’idea fondante e esplicita del progetto, ovvero usare attivamente e bene il web per fare campagne di contrasto agli stereotipi e coinvolgere tutte le persone – senza intellettualismi – su questi temi, era stata tradita nella pratica: temevo che anche donne pensanti, su cui tanto mi ero spesa in termini di tempo, immagine, impegno civile si trasformasse nella solita associazione chiusa, autoreferenziale e interessata solo a fare filosofismi intorno a temi che andavano invece resi il più mainstream possibile e che dovevano coinvolgere il maggior numero di persone possibile proprio grazie a un uso sapiente della Rete.
Così, con grande amarezza, essendo la mia idea decisamente in minoranza all’interno del Consiglio Direttivo di cui ero Presidente, in un progetto di cui ero ideatrice, decisi di farmi da parte. Furono mesi davvero duri, in cui piansi spesso perché avevo dato tanto e perché sentivo vanificato molto lavoro. Ci furono amarezze umane e io non seppi gestire bene la situazione: invece di affrontarla lucidamente e pretendere ciò che era giusto, mi feci da parte piena di rabbia. Quella esperienza mi ha fatto imparare molte cose e in definitiva penso che tutto quel lavoro non sia stato vano.
Detto questo, il mio impegno per la cittadinanza attiva digitale non si fermò (forse ebbe una battuta d’arresto, forse fui disullusa e sfiduciata, ma d’altronde fa parte del gioco) e con Giorgia Vezzoli fondammo Zerostereotipi.it dove pubblicammo un decalogo di suggerimenti per fare comunicazione a zero stereotipi e alta sostenibilità umana.
Poi io decisi di entrare nello staff di un’altra associazione, condividendone la mission, che è GGD Bologna: donne molto pratiche, senza sovrastrutture limitanti e che sanno fare bene il proprio lavoro e hanno deciso di mettere a disposizione le loro competenze per diffondere cultura digitale tra le altre donne e promuovere un’emancipazione professionale femminile attraverso gli strumenti tecnologici. Ormai sono 2 anni che faccio parte del team e sono davvero contenta sia dei progetti che siamo riuscite a portare a termine (come per esempio l’Osservatorio Digitale di Genere e il relativo corso) sia del bel gruppo di persone che girano intorno a questa associazione.
Il mio percorso di cittadina attiva e di educatrice digitale parla chiaro rispetto alla mia filosofia: il digitale è uno strumento abilitante in grado di dare parola a molti. Possiamo usarlo in tanti modi ma può essere usato anche e soprattutto per diffondere cultura, saperi tecnici e sensibilizzare su temi che ci stanno a cuore. Può essere usato anche per denunciare propositivamente ciò che non ci piace. Senza troppe lamentele ma in maniera attiva e virale.
E niente, sono stata davvero felice di essere stata invitata a Rimini, alla Festa della Rete, con Giorgia Vezzoli, e insieme a lei avere potuto parlare di tutte queste cose. Con noi c’era anche Lorella Zanardo, donna che tanto ha fatto per un nuovo sguardo sul corpo delle donne .
E a me e Giorgia ci hanno – inaspettatamente – premiate.
Ecco il video dei nostri interventi, per chi volesse guardarlo.
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