Il 2 agosto di Bologna e di Mister B.
E’ il 2 agosto 2013. Mi sono svegliata alle 5. Sono in montagna. Tino ha lavorato tutta la notte e così quando all’alba ho aperto gli occhi e lui non era nel letto, mi sono spaventata. Ho pensato gli fosse successo qualcosa. Mezz’ora dopo è venuto a dormire, ma nel frattempo io ero vispa come un grillo.
Mi sono messa a pensare a questa giornata. Ho pensato a Berlusconi. Condannato. Al fatto che anche in questa situazione ha usato le sue potentissime televisioni, il suo ruolo di Re incontrastato (che forse per un po’ dovrà abdicare a favore della figlia) e se ne è andato in TV a “fare un comizio elettorale”, come ha ben sottolineato una persona che stimo molto, sul suo profilo di Facebook.
Ha avuto il coraggio di dire – lui, il condannato – che si tratta di accanimento e che la sentenza (quella che lo condanna) è senza eguali, che lui, il condannato, resterà in campo a lottare per l’Italia, con il suo partito, quello fondato dal condannato.
Un martire. Praticamente. Un uomo che si è immolato per la Patria.
Buffo. L’alba del condannato arriva in una data così simbolica per il nostro Paese, per la mia città.
Penso a quella mattina di 33 anni fa, a me che gioco ai giardini dopo un giro in bici con mio padre e mio fratello. Penso al boato. Penso a mia zia che stava tornando da Milano. Penso alle lacrime del mio vicino. Alla caldaia. All’autobus numero 37. Penso alle telefonate: il telefono non andava e di mia zia non abbiamo saputo nulla per ore. Penso alla parola “strage”, quella era la prima volta che sentivo la parola “strage”. Avevo esattamente la stessa età che ha ora mia figlia e ho dei ricordi così nitidi. Ricordo il nodo alla gola. Ricordo il papà vigile del fuoco della mia compagna di classe che a settembre venne a scuola, a raccontarci quello che aveva visto e piangeva, diobono quanto piangeva.
Penso a quelle 85 persone e all’orologio fermo alle 10.25 che proprio qualche tempo fa, ero in stazione e ho sentito un ragazzino lamentarsi che l’orologio non funzionava.
E allora avrei voluto fermarlo, parlargli, digli guarda che è importante che non funzioni, quell’orologio lì, perché ogni tanto gli orologi bisogna lasciarli fermi a un punto della Storia e farci i conti, ogni giorno, ogni anno che passa.
Penso a loro, a quei nomi, a quelle famiglie, a quelle persone. Loro non hanno avuto il tempo di pensare, di dire, di capire che stavano ricevendo una condanna iniqua.
Loro aspettano ancora verità.
E penso che sta a noi ricordare, in giorni come questi, che il confine tra gli eventi e la loro interpretazione è labile, non esiste e che ogni cosa, ogni persona, può trasformarsi in qualsiasi cosa. A volte si chiama Mistificazione ed una delle armi più efficaci per esercitare Potere.
Di qualunque tipo.
[Fonte Immagine in copertina: IBC Emilia Romagna]
Grazie Panz! Mi sono commossa
Io sono romagnala, abito ad una 60ina di km da Bologna e sono nata due anni dopo la strage. Ma i miei genitori, con la scusa di una “gita a Bologna”, mi ci portavano ogni anno in treno, e ogni anno, passando dalla stazione mi spiegavano.
Mi sono venuti i brividi quando ho letto del ragazzino che si lamentava che l’orologio era fermo, a lui nessuno l’ha spiegato e questo è triste.
Grazie per questo bel post.
Sono d’accordo con StellainCielo: è davvero triste che quel ragazzino non sappia, che nessuno gli abbia mai spiegato.