Le ciliegie e i topi bianchi
Tutte le volte che ci passiamo davanti, mio suocero dice:
Ecco vedi, adesso c’è questa chiesa enorme, con Gesù bambino e la sua famiglia che sembrano tutti dei giganti. Una volta c’erano solo degli alberi da frutta, a questo angolo di strada!
Lo dice e sogghigna, pensando a quei tempi in cui – ragazzino – la guerra era appena finita e alla sua famiglia avevano assegnato un appartamento in un nuovo condominio popolare.
I suoi amici del cortile erano il Lungo, Pino e Bortolotti detto Borto.
Lui lo chiamavano Ioffa, anche se nessuno ha mai capito il perché, dato che di nome proprio fa Enzo.
Una volta, racconta sempre mio suocero, c’erano gli alberi carichi di ciliegie e con questi suoi amici avevano scavalcato la recinzione per andare a rubarne qualcuna.
il Lungo – che era il più testa calda di tutti – si era arrampicato sull’albero e gettava un po’ di ciliegie agli amici e un po’ se ne infilava direttamente in bocca.
Era già una buona mezz’ora che erano lì a raccogliere e mangiare, quando sentirono arrivare il contadino e tutti sapevano che con questo qui non si scherzava mica tanto.
Ioffa, Pino e Borto erano scappati a gambe levate e chiamavano il Lungo perché facesse altrettanto, lui però continuava a infilarsi in bocca della roba e così non era riuscito a scendere in tempo.
Il contadino e il suo cane gli erano arrivati sotto.
Scendi da lì, bòia d’un mànnd lèder
sembra continuasse ad urlare l’uomo, brandendo quella che poteva essere una vanga.
Il Lungo non si era fatto intimorire.
Con molta eleganza si era slacciato i pantaloni e calato le braghe. Il contadino continuava a guardare verso l’alto, senza capire bene cosa stesse succedendo.
Davanti allo stupore degli amici – che lo aspettavano in strada – e sopra al muso del contadino, il giovane teppista ad un dato momento aveva cominciato a spingere e a fare dei rumori che non si era capito subito dove volesse arrivare, ma bastò poco e dal suo sedere scese una valanga di merda in direzione del contadino e del suo cane.
Mio suocero si ricorda che una bestemmia come quella che tirò il contadino, prima di allora non l’aveva mai sentita.
L’uomo, che aveva schivato per poco l’umana bovazza, se ne era tornato a casa scuotendo la testa e borbottando mentre il Lungo – indisturbato – continava a mangiare ciliegie.
Per capire com’era il Lungo, racconta sempre mio suocero dopo la storia della cacca, e soprattutto com’erano quei tempi lì, basti pensare che una volta, mentre il vigile dirigeva il traffico tra via Irma Bandiera e via XXI aprile, lui gli aveva rubato la bicicletta d’ordinanza per andare a vantarsi al bar Billi.
Quelli erano davvero tempi appassionati per questo quartiere!
Sotto al portico della Certosa, in quel periodo, c’erano ancora i “topi bianchi”.
Uno non lo direbbe mai, ma dopo la guerra, il Comune aveva dato in concessione alle famiglie di sfollati un arco se avevano 2 figli, 2 archi se ne avevano più di 3.
I topi bianchi, con cartone e materiali di fortuna, si erano costruiti delle specie di baracche e vivevano sotto ai portici.
Per andare al bagno, il Comune aveva piazzato qualche gabinetto e delle fontanelle nella piazza della Pace.
Queste famiglie un po’ disperate, forse a causa del freddo o della fame, durante la notte cominciavano a litigare tra loro, urlavano, si prendevano a botte. Mio suocero dice – e conclude sempre così questo racconto di racconti – che allora il vigile a cui il Lungo una volta rubò una bicicletta, e che abitava lì vicino, verso le 3 del mattino prendeva la sua pistola e sparava due o tre colpi dalla finestra.
Dopo non si sentiva volare una mosca e tornava la pace.
[Immagine in copertina – Licenza CC – flickr – foto di Margotta]
Mi vien da dire che mi piacerebbe prendermi un attimo tuo suocero, qualche ora o una sera a cena magari, per farmi raccontare un po’ di storie da conservare ché in casa mia di anziani con la mente lucida, non ce n’è più e le mie figlie di storie della vecchia Bologna non ne sentiranno mai più ed è proprio un peccato, davvero.