Il lavoro e le donne: perché a volte siamo conniventi di situazioni ingiuste?
Di oggi un articolo di Repubblica sugli scoraggianti dati occupazionali al femminile del nostro Paese.
Nel 2010 esistono ancora situazioni professionali e zone d’Italia dove essere donna è un fattore discriminante non solo per una realizzazione professionale ma anche per mantenere un qualsiasi lavoro.
- Quanto c’entrano la maternità e i maggiori impegni familiari di cui spesso si fanno carico le donne?
- Quante donne scelgono di rimanere a casa dal lavoro perché la ricerca è estenuante e spesso il gioco non vale la candela?
Sul rapporto donne e lavoro si crea spesso un muro di omertà: pochissime donne hanno il coraggio di fare nomi e cognomi, a fronte di esperienze negative, per paura di essere TAGLIATE FUORI, che il LICENZIAMENTO non sia la cosa peggiore.
Ci sono donne che firmano, al momento dell’assunzione, lettere in bianco di licenziamento che verranno – all’uopo – usate dal datore di lavoro per “liberarsi” di loro in modo pulito e senza alcun appiglio legale.
Perché queste donne ACCETTANO di firmare queste lettere?
Il 10 settembre 2010 sarò ospite di Salotto Precario alla Festa Provinciale dell’Unità di Bologna per parlare di questi temi.
Sto raccogliendo riflessioni e esperienze personali sul social net di Donne Pensanti ma mi piacerebbe ricevere anche il parere dei lettori di Panzallaria, magari con un focus sulla maternità e una riflessione sul perché – a volte – le persone si sentono di non avere altra scelta che diventare conniventi di situazioni ingiuste, giocate sulla loro stessa pelle.
Rompiamo il muro di omertà! Parliamone di questi temi.
Se ne parla anche su friendfeed:
La maternità c’entra tantissimo.
Mia cognata, anni fa, cercava lavoro come commessa. In un negozioc’era il cartello esposto: CERCASI COMMESSA.
Lei si è proposta. vuoi sapere qual’è stata la prima domanda?
“E’ sposata?”
“Si”
“Noi no nassumiamo donne sposate.”
Il problema è, che non mi sento di condannare i datori di lavoro. Io lo sono e, “mantenere” una donna in maternità costa un botto. il problema è “il sistema” globale.
In Germania, ad esempio, la mamma rimane a casa in maternità per tre anni. A stipendio zero. Quando ritorna a lavoro, però, dovrà mantenere il suo vecchio posto e incarico.
Ecco. Questo è un buon sistema al quale si dovrebbe associare una specie di sussidio alle mamme che decidono di fare le mamme.
Sarebbero salve le aziende che assumerebbero in base al regime della meritocrazia e non in base al corredo cromosomico, e, le mamme, si sentirebbero meno frustrate a rimanere in casa continuando a contruibuire al menage familiare.
Questo il mio punto di vista. Utopistico ovviamente. Un pò da Alice in WonderGov
P.s. aggiungo che un’altra soluzione validissima sarebbe quella dei nidi aziendali.
Talvolta, però, ci sono solo nelle grandi aziende con migliaia di dipendenti. Invece dovrebbe essere un diritto anche per le commesse di Calzedonia.
@bismama: molto interessante quello che scrivi sul modello tedesco. per quanto riguarda il punto di vista del datore di lavoro, su friendfeed la discussione sta prendendo quella piega e aggiunge valore e complessità al discorso
Da 31enne non sposata e non accompagnata e senza figli posso dire che secondo me la questione maternità e famiglia è solo la punta dell’intera faccenda. La facciata. Almeno oggi.
Ho studiato ingegneria elettronica (come ti ho già scritto da qualche parte) e il numero di donne “dentro lì” mi ha costretta ad interrogarmi sulla differenza di genere in maniera prorompente. Perché ricordo ancora l’impatto nell’entrare in una sala con circa 200 studenti e poco più di 10 ragazze. Che si sono nel tempo ritirate nella stessa proporzione dei nostri compagni maschi. Nessuna aveva figli allora, (nè oggi, caso vuole). Ricordo con grandissimo affetto gli uffici dell’azienda dove ho cominciato a lavorare dopo la laurea. Ero l’unica ragazza tra una ventina di ragazzi 84 anni fa,eh! e davanti a un pc, mica lavori di fatica!). E c’è voluto un po’ per imporre quelle 2-3 regole di relazione corretta. Qualche volta forse ho pure pianto, ma alla fine quante soddisfazioni! Ho capito molto bene il perchè di colloqui non ottenuti in tante aziende dove per i miei compagni maschi le porte sono state aperte in automatico indipendentemente dai risultati! Quale azienda ha la capacità di vedute di assumersi la fatica di trasformazione di un immaginario collettivo? E quali gruppi di uomini, compatti nelle loro storielle da bar ad ogni ordine e grado, sono disposti a modificare le loro modalità di relazione? Chissà se anche nella mia prima azienda mi avrebbero preso se non fossi entrata con una work experience finanziata dalla regione?
Forse anche loro sarebbero caduti prima o poi a chiedermi “cosa vede signorina nel su futuro?” come hanno fatto altri.
Oggi per contrappasso lavoro in un posto fatto al 90% di donne, dove le stesse donne si lamentano di dover pagare i costi delle maternità delle altre donne e mi rendo conto che forse, più che posti negli asili nidi, sarebbe molto più saggio dare uno stipendio dignitoso a chi lavora nelle case di riposo, a chi lavora negli asili nidi, a chi si occupa di star dietro ai matti, a chi pulisce, a chi lava, donne o uomini che siano. Perché fino a quando le nicchie occupazionali al femminile saranno queste, beh, vi garantisco che il circolo vizioso non si romperà mai neppure fuori dalle nicchie. Dentro a queste dimensioni di lavoro qui sopravvive appena una donna sola e senza marito. Come potrà essere considerata qualcosa di più del contributo per finire di pagare il mutuo e i libri dei figli la parte reddituale che arriva da qui della donna accompagnata? Come biasimare quelle donne che fanno lavori che odiano e schifano e che gioiscono se possono star a casa? O come non comprenderle se finiscono col lavorare in nero?
Certo la mia è una visione parziale. Ma è la somma delle parzialità che approssima meglio il vero…
P.S.: certo, forse le cose stanno così perchè le donne son quelle che partoriscono. Ma sinceramente comincio a pensare che è l’umanità a richiedere d’avere sempre una parte da schiacciare e sottomettere.
Io faccio un lavoro che nell’immaginario comune è tipicamente maschile: consuelnte in sicurezza sul lavoro e ambiente. Giro fabbriche, cantieri, sono sempre in auto, faccio fomrazione a schiere di machissimi metameccanici.
L’ho fatto per 7 anni in una grande azienda (Gruppo Antonio Merloni…e facciamoli ‘sti nomi!) e sapete cosa mi sono sentita dire il giorno in cui sono andata alla casa madre a parlare con il mio “alter ego” là? “Io avevo posto un veto alla tua assunzione perchè sei una donna”.
Così.
Tipo “Ciao, io sono XXX, piacere. Ah volevo dirti una cosina…”.
Beh, le volte in cui ho visto in faccia a cleinti e fornitori la faccia da “Cazzo mi hanno mandato la centralinista!” si sprecano.
E quella volta in cui tutti attorno al tavolo erano “Il dott…” “Il sig..” “L’ing…” e io “Come si chiama LA RAGAZZA?!!?”.
Per arrivare, subito dopo sposata al colloquio fatto in un’altra grande azienda (Lombardini Motori) in cui mi hanno palesemente detto “Lei è giovane, appena sposata…vuole dei figli?”.
Non ci ho messo due minuti a rispondere “Sì ovviamente, perchè lei non ne ha?” (sapevo che ne aveva).
Dove lavoro ora siamo abbastanza alla pari. Dico abbastanza perchè:
1. per seguire bene Belvetta ho scelto il part-time e quindi il trattamento non può essere paritario comunque per quanti straordinari mi renda disponibile a fare, è questione di organizzazione pratica
2. ho un paio di colleghi (persone splendide, ma in questo un po’ “retrò”) che pensano che una donna non dovrebbe fare campionamenti rumore, vibrazioni, ecc… perchè è un’attività “poco femminile”.
Su questa cosa li sfottiamo (io e le mie colleghe) a sangue spiegando loro che è per questo che sono ancora single e non, come vorrebbero farci credere, per libera scelta! 😉
Il problema in Italia è variegato: servirebbe uno svecchiamento della mentalità maschile (e a volte non solo), servirebbe smetterla di pretendere di essere UGUALI uomini e donne perchè così non è e invece dovremmo valorizzare le differenze che abbiamo perchè da esse nasce l’alta professionalità di un team di lavoro, servirebbe una politica VERA di sostegno alle famiglie con più asili, maggiore conciliazione dei tempi lavoro-famiglia (per TUTTI perchè anche gli uomini hanno diritto a stare coi figli!) e uno sviluppo serio (sia tecinco che culturale) del telelavoro. Io potrei scrivere le realzioni e i documenti di valutazione dei rischi anche a casa se avessi un colegamento al server aziendale.
Insomma penso che prima di tutto ci serva affrancarci da un modello di donna che può smettere di lavorare quando vuole perchè tanto è bella e ha qualcuno che la mantiene (presidente del mio corso di laurea: “Ma perchè voi ragazze fate l’università? Ma perchè non vi sposate e fate lavorare i mariti?” GIURO!). Abbiamo bisogno di cambiare per prima cosa la VISIONE che abbiamo del mondo e delle donne se vogliamo cambiare il mondo del lavoro.
servirebbe anche che io correggessi l’ortografia prima di postare ma questa è un’altra storia.
Faccio un commento provocatorio. E se fosse la società a non funzionare così com’è? Dev’essere che ho letto l’ultimo libro di Galimberti (I Miti del Nostro Tempo), ma vorrei sapere dove ne guadagna la famiglia e la donna a lasciare al nido il proprio bambino, a persone che si suppone siano competenti, salvo poi scoprire che.., ma comunque a mani estranee alla cura familiare.
Che cosa ne guadagna la donna che lavora a portare il proprio figlio a scuola alle otto e andarselo a riprendere alle cinque del pomeriggio. Vivere con la propria prole le ore rimanenti della giornata in cui in genere si è più stanche e stressate. Non si finisce per conoscere benissimo il proprio lavoro e i propri colleghi e poco i nostri figli?I lavori in cui si concreta, davvero, la porpria realizzazione personale sono talmente pochi! Forse quelli creativi e artistici..E allora perchè non dire anche che molte madri ( ma anche qualche padre) preferirebbero invece , soprattutto i primi anni di vita del bambino, lavorare meno, non di più. E che la questione non è la prpria realizzazione personale ( che quella può avvenire benissimo fuori dal lavoro), ma il denaro; che in questa società non è mai abbastanza.
Solo fino a trent’anni fa bastava che lavorasse solo una delle due persone nella coppia. Ora non basta più. Ma non vi sentite un po’ giocate, un po’ prese in giro?Dove sta la possibilità di scelta?
Io non mi identifico nel mio lavoro, il lavoro è solo un mezzo, una parte di me e non deve risucchiarla tutta. Non è forse la società a correre troppo veloce, a spremerci come limoni per lasciare solo qualche goccia al nostro “personale”Non è triste tutto ciò?
Molte donne, per mia esperienza personale, scelgono di stare a casa dal lavoro, intanto perchè se lo possono permettere e poi perchè, alla fine, avendo la vista lunga, lo ritengono un privilegio, che molto spesso al maschio è negato.
Io lavoro meno di mio marito ( è lui, alla fine, a tirare avanti la carretta), ma , più che sentirmi discrimanata, mi sento, come dire, paraculata!
LA MATERNINITA’. Al solo nominarla ti prendono a pedate nel sedere.
Io avrei un libro da scrivere su ciò che mi è successo al rientro dalla MATERNITA’.
mobbing mobbing e mobbing. sono arrivati al punto che ho perso i capelli dallo stress. Le colleghe SENZA figli si sono rivelate le più FEROCI.
Mi hanno rubato gli anni ed i momenti più belli dell’infanzia di mio figlio e spero che tutto il male gratuito che mi hanno fatto ritorni a loro.
Bella discussione… Proprio per questo voglio dire la mia.
Premessa: sono una donna veneta.
Argomento: che dire di coloro che vorrebbero starsene a casa, seguire con più serenità figli, scuole, famiglia, ma non possono neanche per sogno??? Perchè se è vero che le donne nel mondo del lavoro sono discriminate, è altrettatno vero che il mondo del lavoro non può più fare a meno delle donne!
Quindi: pure sfruttandoci, veniamo comunque costrette, attraverso un sempre crescente costo della vita, a fare sempre più spesso le schiave del sistema! Bella la libertà di lavorare facendo carriera, ma soprattutto per me meglio la libertà di scegliersi il lavoro che vogliamo fare e la libertà (se vogliamo) di non lavorare (fuori casa…).
E da tutto questo, ragazze, siamo lontane anni luce!!!