Lavorare in ospedale

Lavoro in un ospedale. Non avrei mai pensato di lavorare in un ospedale e invece ora è così. Lavorare in un posto come quello è nettamente diverso che farlo in un’agenzia di comunicazione, una Provincia o un’associazione di industriali, che sono i posti dove ho lavorato negli ultimi anni, prima della pausa di lavoro in proprio.

Non sono un dottore e così per me non è normale vedere i malati. Cioé non ho quell’aria noncurante, di chi ci è abituato, che forse dovrei avere.

Così mi devo ancora abituare. Lavoro in un ospedale dove curano le ossa e le malattie ortopediche, così non è raro vedere ragazzine di 16 anni con le stampelle e bambini in carrozzina. A volte hanno “solo” gambe rotte, altre le gambe proprio non le hanno più.

Sono questi i casi che mi fanno sentire un tonfo nello stomaco, quando per andare in mensa (perché gli uffici amministrativi come il mio non sono proprio vicini ai reparti) passo in mezzo ai lunghi corridoi, gelati di storia.

I bambini poi, ecco quando vedo dei bambini che hanno esplicitamente dei problemi gravi, non posso fare a meno di fare quei pensieri da buonista di ultima tipo che sono fortunata che la frollina sta bene.

Mi sento sempre così banalmente borghese, nei miei pensierucci rassicuranti, ma è così.

Poi mi capita di conoscere una delle maestre che insegna in reparto. Mi capita che mi regala il giornalino dei ragazzi che studiano lì, con i loro temi.

E mi metto a leggere che poi a un certo punto – come mi aveva detto l’amica del Ced – bisogna smettere che si annebbia la vista.

E leggo il tema di una ragazzina di 12 anni che scrive:

ho una malattia rara, quando passo per le strade del mio quartiere, molte persone mi guardano tristi, ma io so che lo fanno perché mi vogliono bene. Ma io non sono triste perché nel mondo capitano tante cose molto brutte e io invece, con la mia malattia, ho almeno la speranza di guarire

Lavoro in un ospedale. Mi devo ancora abituare.

Però sto imparando tante cose, nascoste negli angoli più impensati.

16 commenti
  1. extramamma dice:

    Ciao,
    che brava questa ragazzina che citi, e anche tu che lo racconti senza fare troppa retorica. Anch’io a 14 anni mi sono ingessata un gambone lì da voi (dopo la mia prima e unica esperienza sciistica)
    Spero che il lavoro vada bene, un abbraccio p

  2. M di MS dice:

    Cara Panz, ti capisco. Io ho curato la comunicazione di un ospedale per 3 anni. All’inizio è scioccante, ma poi per forza ti abitui. Ricordo riunioni con i medici fatte in sala pre-operatoria, con loro in camice e cuffietta stile Scrubs e i pazienti nella sala a fianco. Una volta sono svenuta durante un’ablazione transcatetere. Ma era la prima.
    Cmq, anche se passa il tempo, continui sempre a sentirti diversa. Se la tua formazione è aziendale o giornalistica, non riuscirai mai ad abituarti a vedere i malati come li vede l’ospedale (inteso come ente burocratico), cioè letti, DRG, costi, utili.

  3. alessia dice:

    cara Panz è incredibile quello che i bambini insegnano a noi grandi e la forza che hanno in quei corpicini che ancora non hanno vissuto una vita piena

  4. Pocahontas dice:

    Recentemente sono stata a Chicago per vedere il lavoro svolto da un’amica artista con i bambini in ospedale, molti sono malati terminali. Se riesci a scrollarti di dosso quel peso cupo che ti posiziona sulle spalle appena entri, se riesci a trovare la forza di respirare e non far salire le lacrime agli occhi, poi finalmente riesci a percepire la loro tenacia, la forza, la creativita’, la speranza. Io ho imparato tanto, senza retorica. Questo e’ il link della non-profit che lavora all’interno dell’ospedale pediatrico, oltre ad innumerevoli progetti artistici (alcuni in gemellaggio con ospedali italiani) offrono assistenza ai piccoli pazienti ed i loro genitori per familiarizzare con le terapie che dovranno affrontare. http://www.snowcityarts.com

  5. Mamma Cattiva dice:

    Del doc, il mio doc, quello che chiamo il doc perché fa il medico e si occupa di bambini, e che casualmente è anche il padre dei miei bambini ;), dico sempre che ogni giorno si guadagna il paradiso e che io con il mio lavoro forse finirò all’inferno (mah!, sarà poi vero che il mio lavoro non ha senso?)…lui dopo più di 20 anni di servizio ha imparato forse a mettere quella maschera di noncuranza proprio per sopravvivere e capacitarsi di tanto dolore.
    Anche a me basta un giro nel suo reparto per uscire, sbattere la testa al muro e dire “ma di che mi lamenterò poi io…” e non è buonismo o borghesia, etichette Panz, etichette, è sano realismo. Vai Panz, vai! 🙂

  6. Renata dice:

    Ti ammiro, non riuscirei a lavorare in ospedale. Si sente spesso parlare di mancanza di infermieri in lombardia, di carenza di personale eppure il lavoro ci sarebbe, eppure assumono…
    Vivere a contatto con i bambini ammalati poi: è una missione prima ancora che un lavoro

  7. VmnP dice:

    Io per mia fortuna la prima volta che sono entrata in ospedale è stato quando mi si sono rotte le acque! Un bel post davvero, oggi mi aiuterà a rimettere le cose meglio in prospettiva.

  8. silbietta dice:

    Credo che in certi casi ognuno di noi si senta banalmente borghese e faccia pensieri buonisti.
    Il marito della mia collega si occupa di chirurgia ricostruttiva al Bambin Gesù e, quindi, ha deciso dall’inizio di dedicarsi ai bambini.
    Ora è in missione, con altri colleghi, in un posto poverissimo e sperduto, un po’ alla Medici Senza Frontiere.
    Ecco.
    Non riuscirei mai a lavorare in ospedale, tantomeno a fare quello che fa lui.
    Ma la mia ammirazione per queste persone è grandissima.

  9. Elena dice:

    io credo che se tutti avessimo la consapevolezza di quanto stare bene, essere in buona salute sia fisica che mentale sia fondamentale non avremmo molti altri falsi problemi.. e questa è pura retorica per chi non si rende conto di quanto sia vera l’affermazione “quando si ha la salute si ha tutto”.. e te lo dice un’insegnante di sostegno che, sicuramente ha avuto ed ha un’esperienza meno “dura” della tua, ma non meno significativa.
    E vorrei aggiungere un’altra cosa.. se tutti avessero modo di leggere e di meditare per dieci secondi (perché veramente non serve di più) su quei temi dei bambini forse ci sarebbero meno persone str…e concentrate solo su loro stesse, egocentriche ed egoiste come se non esistesse niente al di fuori di loro stesse: di solito sono queste persone che non riflettono che pensano che le frasi tipo “che fortunata che sono che sto bene” siano buoniste.. chi si rende conto della tragica realtà in cui vivono certe persone (che hanno a volte anche il coraggio di essere felici) non lo ritiene più buonista ma anzi ne apprezza tutto il valore profondo, secondo me.

  10. simon dice:

    Anch’ io mi occupo di comunicazione e lavoro nell’ industria della sanita’, mi capita percio’ abbastanza spesso di frequentare ospedali.
    Che dire…e’ un mondo dove mai sarei pensato di finire ma a cui adesso mi tengo ben stretto.
    Mi sta dando tanto, non solo a livello professionale ma anche e soprattutto a livello umano.
    E’ responsabilizzante occuparsi di salute, frequentare una certa umanita’.

  11. Ida dice:

    Lavoro in un ospedale e non sai che darei per acquisire io tuo sguardo di nuovo. Lo sguardo che avevo quando mi ci sono ritrovata da studentessa. E invece poi diventa un lavoro con le sue grane, i malumori, i dissesti che puoi immaginare.
    E allora lavori lavori lavori ma lo sai che ti stai perdendo qualcosa. A differenza di prima fai le cose per davvero, prescrivi, ti prendi le responsabilità, levi i sintomi. Ma ci sono giorni che quelle persone che passano e che tu vedi ancora io, invece, non le vedo proprio. Diventano parte del tuo contesto. Capita che passi qualcuno che soffre in barella e tu continui a pensare o a fare quel che stavi facendo. E sembra incredibile che stia capitando proprio a te, eppure è così. Poi ogni tanto ci pensi e ti fai un po’ schifo, ti senti una merdaccia indegna e inadatta. E’ un virus tremendo che attanaglia anche i medici-pulce come me e che si combatte con il cervello, non con il cuore. Per come veniamo addestrati e per i contesti in cui lavoriamo noi medici dobbiamo ricordarcelo di essere umani, il cervello ce lo deve ricordare. Il cuore ad un certo punto si spegne, altrimenti poi scoppia.

  12. simon dice:

    Grazie mille Panzallaria!
    Sai, l’ho appena aperto e l’ ho fatto prima di tutto per imparare.
    Imparare perche’ l’ industria della salute si caratterizza per un elevato livello di fascino ma anche di complessita’.
    Ci sono molte questioni controverse che proprio nella blogosfera possono essere affrontate e discusse.
    Un saluto e a presto, ti inserisco subito nei miei link!

  13. Panzallaria dice:

    @simon: ma è un caso che tu sia passato di qui? no perché ho linkato il tuo splendido blog e in particolare l’articolo sul marketing e influenza in ogni dove! Fai un ottimo lavoro, molto utile per chi come me si sta approcciando a questi temi, per lei abbastanza nuovi. grazie!

  14. panz dice:

    @ida: tu fai già una cosa grandissima che è essere un dottore. Ci vuole coraggio ed è meglio assuefarsi anche al dolore. Solo così lo si può curare.
    @renata: non c’è motivo di ammirarmi: io lavoro in un ufficio amministrativo e faccio le stesse cose che potrei fare in qualsiasi altro posto. però è vero, lavorare nella sanità – anche per diffondere informazioni a misura di utente – è responsabilizzante e molto bello. non me lo aspettavo.

  15. Tiziana dice:

    Anch’io come te lavoro come amministrativa in pediatria dove ci sono malattie di ogni genere e anche bambini con malattie rare e oncologici; dove alcuni sopravvivono e altri non ce la fanno. Sai quante volte vorrei aiutare fare qualcosa per loro e alcune volte anche se non è il mio lavoro sono spinta ad aiutare e mi sento gratificata dentro di me. Ma se non ce la fanno c’è un vuoto dentro di me che avrei potuto fare qualcosa e invece non ho fatto nulla.

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