Non trovo un titolo a questo post ma si parla di lavoro e cose che possono sempre cambiare

Questa cosa di lavoro-mamme è un argomento che mi preme molto. Mi piace leggere le testimonianze che mi mandano tramite il blog del Mommyblogging e il social network sulla genitorialità che ho creato.

Perché so bene cosa significa sentirsi un po’ “fuori gioco” quando nasce un figlio. So bene come ti possono far sentire inutile professionalmente e come tu stessa diventi una calamita di dubbi e ansie circa il futuro che verrà.

Perché diciamolo, dopo che è nato un figlio, se c’hai voglia di rimetterti in pista devi scontare il giudizio bachettone di chi ti vorrebbe a casa a fare la tetta ambulante, se invece preferisci prenderti un po’ di tempo per conoscere il tuo bambino, c’è sempre qualche rompiballe (o insensibile, a seconda) che ti ricorda che quel tempo che dedichi alla creatura è tempo sottratto alla possibilità di fare carriera.

Non è che lo fanno apposta, sia chiaro. Ma sempre di più la maternità è percepita come una scelta univoca che taglia fuori.

Io ci avevo questa amica che quando ero incinta, dato che con il tempismo che mi contraddistingue io mi ero anche appena messa in proprio mandando a spendere un lavoro da dipendente (tralascio sulla mediocrità dell’ambiente e tutto il resto che mi hanno quasi obbligata a fare una scelta “vitale”…), dall’alto del suo carrierismo preciso e assennato, mi disse una frase tagliente come una lama: “certo che non hai scelto proprio il momento più opportuno per rimanere incinta!”.

Complici gli ormoni ballerini e il fatto che io mai mi sarei permessa di dire una roba del genere, quella frase mi fece inviperire.

Perché forse era vero che c’avevo una manica di cose che non potevo fare nelle mie condizioni, ma nello stesso tempo era anche questa fottuta società a compartimenti stagni che mi tagliava fuori. E lei – donna – si dimostrava peggio di un uomo, con il suo commento.

Perché diciamolo, le donne sono delle fottute competitrici tra loro. Molto più degli uomini che nei momenti di bisogno riescono a trovare intesa e a darsi man forte, mentre noi altre siamo tutte concentrate a dimostrar che c’abbiamo più tette o cervello (a seconda dei casi) ai maschietti e ci diamo la zappa sui piedi l’una con l’altra. Non sempre eh? Non tutte eh? Però capita. Le cose più crudeli fatte a una donna, di solito provengono da un’altra donna.

Comunque

Poi io sono entrata in una fase di vera crisi con il lavoro. C’era gente che mi diceva che voleva questo e quello e io facevo fior di preventivi e poi – o spariva nel nulla senza nemmeno dire “non mi interessa” – oppure mi prendeva sonoramente pel fondoschiena con proposte aberranti. E comunque nemmeno io mi sentivo tanto sicura di me.

Quando lavori in proprio succede che certe volte ti alieni un po’ dal mondo. Stai a casa, fai le tue cose e ti viene il dubbio di vivere in un mondo parallelo, che magari non è quello vero.

Poi c’hai anche un bimbo piccolo che è la priorità e se si ammala spesso, e l’anno scorso per noi è stato una tragedia, non è mica che puoi fare tanti progetti a lungo termine.

Io così piano piano ho eroso la mia determinazione e gli stimoli che mi avevano spinto a mettermi in proprio e sono arrivata ad un momento, questa estate, che ho pensato di avere sbagliato tutto.

Sono quei pensieri totalitari e catastrofici che ogni tanto – specie quando ho le mestruazioni – faccio anche io. Quelle robe che Tino mi guarda e cerca di riportarmi con i piedi per terra, ma non è mica che ci riesca sempre.

Insomma: io ad un certo punto mi sono ritrovata che non sapevo bene se il mio lavoro era proprio quello che stavo facendo. Ero confusa e incasinata e tentata di andare a dare il mio curriculum nel supermercato sotto casa, che almeno – se non avessi fatto il lavoro per cui ho studiato – avrei potuto avere uno stipendio mio, invece di chiedere la paghetta a tino per pagare le tasse!, e del tempo mentale da dedicare interamente alla mia bimba.

Poi c’è stata tutta la storia della donna rettile e io ho fatto il mio percorso doloroso, faticoso, pruriginoso e di rinascita e un giorno mi sono trovata che ho capito delle cose che avevo davanti agli occhi ma che, per insicurezza e confusione, non riuscivo affatto a vedere.

Prima di tutto ho capito che non stavo affatto facendo il lavoro che volevo fare ma un surrugato di quel lavoro e che se ero passato al surrugato il motivo era che non mi sentivo abbastanza brava per fare il lavoro che avrei voluto fare.

Poi ho capito che io il lavoro che volevo fare me lo dovevo costruire e inventare con una buona dose di ottimismo, creatività e amor proprio.

Perché a fanculo le statistiche sui trentenni di oggi che hanno la strada segnata dal precariato e sembrano sempre vittime ingiuste di un mondo cattivo. Non dico che il mondo non sia cattivo o che il precariato non spadroneggi in maniera allarmante, ma voglio spostare l’attenzione.

Si può essere dei precari felici, dico io. Perché ognuno di noi c’ha una dose di creatività che è una risorsa potente e bisogna solo tirarla fuori. Non possiamo aspettare che il lavoro della vita ci arrivi in braccio: mica sono i favolosi anni ’60 eh? Mica viviamo più con spalline e lacca negli effimeri ’80?

Siamo nel 2009. Anno che passerà alla storia per la fottuta crisi economica mondiale di cui tutti parlano per esorcizzarla, come se così si trasformasse in un brutto sogno e poi riga, tutti a fare la settimana bianca.

Allora io poi, quando ho ripulito la mia mente (per scherzare, agli amici dico che sto pulendo il mio karma ma di karma ne so molto poco, in realtà) mi sono guardata. Ho guardato alla mia storia, alle cose fatte nell’ultimo periodo e ho capito che il mio lavoro è fatto di bit ma soprattutto di parole e che anche se mi sento sempre inadeguata, il mio lavoro è scrivere.

E d’improvviso, quando ho capito questa cosa, che avevo spostato il centro per paura, allora mi è stato chiaro ESATTAMENTE quello che dovevo fare.

E l’ho fatto.

Ora.

Non dico mica che diventerò ricca. Non dico mica che tutto andrà per il meglio. Ma di certo alla mattina mi sveglio che sono entusiasta di mettermi a lavorare. Non banfo. Non invento paroloni altisonanti per sentirmi meno insicura e non mi atteggio a professionista della minchia.

Faccio solo quello che so fare meglio, studio tanto e ogni giorno tengo allenato il mio cervello pensando a qualche nuova idea da mettere in campo. E tutte queste cose, come per miracolo, si conciliano meravigliosamente con la mia professione principale: tentare di essere una buona mamma per frollina.

Anche il teatro, diciamolo chiaro, non mi renderà mica ricca ma è sicuramente una bellissima soddisfazione per cui ringrazio la Francesca Migliore, regista di Teatro della Rabbia per l’opportunità. Son tutte robe che volevo fare, che avrei voluto fare. Robe che mi entusiasmano.

Come quando scrivo per Liquida Magazine e mi diverto come una matta a cercare nella blogosfera cose interessanti di cui parlare e gente che ne ha parlato sui propri blog. O come quando mi vengono le mie idee per il Mommyblogging italiano (che per quello non c’è nessuno che mi paga ma mi dà un po’ di visibilità ed era quello che avrei dovuto fare da molto tempo!) e allora mi metto lì e costruisco una mappa mentale per concretizzare tutto.

Quando scrivo le favole e allora mi viene in mente di raccoglierle.

O quando penso a chi chiedere di sponsorizzare il Calzino Spaiato e mi entusiasmo all’idea di andare in giro a promuovere uno spettacolo che è poi questo blog narrato. Oppure quando andavo in radio a leggere dei post, che non mi pagava nessuno nemmeno lì ma quanto mi sono divertita!

Ecco. Fino a poco tempo fa io non avevo mica elaborato che tutte le cose che – professionalmente – mi hanno dato soddisfazione sono partite da qui, da Panzallaria.

Questa è stata l’illuminazione che volevo condividere con voi. Io ero una fifona che si sentiva inadeguata ovunque. Ora sono una fifona, mi sento inadeguata in molti posti ma abbastanza serena quando surfo nella blogosfera.

E le cose belle succedono proprio così. Quando non te l’aspetti e non riversi aspettative esagerate sulle cose, viene fuori la tua vera anima. E delle passioni si possono trasformare in fonte di reddito (anche minimo, come nel mio caso) e di soddisfazione.

Basta crederci un po’. Pensare che non si è mai finiti. Che non è affatto vero che in certe situazioni – vedi maternità – ad un certo punto sei tagliata per forza fuori.

Perché se non ti tagli fuori tu, non sei mai finita, nemmeno a 35 anni suonati, con una miseranda laurea in lettere e nemmeno uno straccio di datore di lavoro.

E mentre l’altro giorno pensavo alle favole e c’avevo delle idee per sistemarle un po’ e renderle più “speciali”, tino mi ha guardata e mi ha detto: “Panz, c’hai troppe idee, io non so se riesco a starti dietro!” e io sorridendo sorniona, tra il serio e il faceto gli ho risposto:

“Se voglio diventare famosa entro i 40 devo sbrigarmi: ho poco tempo e bisogna che semini in molti campi. Da qualche parte magari così un fiore spunterà…”

😉

12 commenti
  1. Mammamsterdam dice:

    Come diceva la mia coach bolognese ad Amsterdam: cosa stai lì a farti i problemi su quello che puoi fare, che sai fare così tante cose bene. Quei pensieri lì lasciali a chi non sa fare un cazzo, che ci sono anche quelli.

    Quindi io per pura generosità per quelli, gli ho lasciato tutti i pensieri negativi. Almeno hanno un pensiero anche loro e se lo possono raccogliere nel prato in cui sono finiti i miei.

    PS. la coach l’avevo nel periodo in cui tu avevi la donna serpente, calcolato in età di figli. Stai male, il corpo ti costringe a riflettere, e poi ne esci. E quanto stai bene poi.

  2. Elisa dice:

    Come ti capisco … io e te nel campo lavorativo siamo incredibilmente “parallele” , anch io dopo un periodo di terribile senso di inadeguatezza sto ritrovando un po di entusiasmo ,soldi pochi 😉 però… e spero che fiorisca qualcosa veramente da tutto quello ch ho seminato negli ultimi 10 anni e spero la stessa cosa anche per te e per tutte quelle come noi che sono “costrette” a sentirsi perennemente inadeguate … Ely

  3. Dalia dice:

    Mi fa bene al cuore leggere tanto entusiasmo nelle tue parole in questo periodo di rientro al lavoro post-maternità…e i fiori, mi sembra, stiano già germogliando!
    Dalia

  4. Stefania dice:

    Cara Francesca, innanzitutto complimenti, congratulazioni, evviva e chi più ne ha più ne metta!!
    Ciò che hai scritto mi ha risollevato il morale e dato l’opportunità di condividere con te e con tutte le altre mamme il senso di inadeguatezza e inferiorità che ho provato anche io al rientro al lavoro dopo la maternità. Ma più piacere mi ha fatto ripercorrere insieme il tuo cammino, soprattutto interiore, tortuoso e faticoso ma che stà già dando i primi risultati. Mi piacerebbe tanto conoscerti di persona e, se mi permetti, di averti come amica purtroppo abitiamo lontane, io sono a Milano. Contemporaneamente mi hai suscitato anche una buona e sana invidia per l’entusiasmo e la sensazione appagante che provi e che mi trametti, nell’essere riuscita a gettare le basi per il tuo gran successo!
    Un abbraccio.
    Stefania mamma di Vittoria

  5. meimi dice:

    Ciao,
    Ti leggo da prima che nascesse Frollina ma non avevo mai commentato. Oggi lo faccio perchè questo tuo post mi ha fatto proprio bene, in un giorno in cui mi sento particolarmente inadeguata al mondo del lavoro, nel quale sto cercando faticosamente di entrare. PErciò volevo lasciarti un grazie.
    Anna

  6. cg dice:

    Questo post l’ho stampato e lo farò leggere a mia sorella che come te è una libera professionista squattrinata che si è persa d’animo proprio quando avrebbe dovuto tirare fuori le palle e adesso fa un lavoro di merda che non la appaga e che le succhia via le energie..
    io credo in quello in cui credi tu e lo sai , i miei consigli nascevano proprio da questo, dalla impossibilità di non essere ottimisti quando si cerca lavoro..lo dissi anche alla Coniglia tanto tempo fa commentando il suo blog e adesso lei lavora e se lo merita tutto..perchè io credo che abbattersi non serva a nulla e bisogna tirare fuori mooolta buona volontà..nella vita magari l’imprevisto accade sempre ma per il lavoro quello dei sogni si può e si deve combattere..e tu continua a combattere..
    che secondo me diventi una scrittrice..
    ti abbraccio frà!

  7. Mammafelice dice:

    Io sono una precaria felice! Ho i miei momenti di debolezza e di incertezza, ma a fine giornata sono felice di ciò che faccio, di come vivo… e soprattutto di cosa sto progettando.
    Come ti dico sempre: tu hai la stoffa, e ci riuscirai! (Io ho il pannolenci, e ci riuscirò pure io ahhaa 🙂 )

  8. Flavia dice:

    questa è la grinta che ci vuole in una donna. questa è la filosofia dell’azione di VereMamme. E non te lo dico per piaggeria, ma perchè sono profondamente convinta che sono solo le persone così che emergono al di sopra del lamento collettivo e combinano cose buone, per sè e per gli altri. un bacione

  9. Anna dice:

    Io sono una di quelle che si intestardisce a “cambiare il sistema”. La chiamo la mia “gabbia d’oro”, lavoro come dipendente al Sole (giornalista). Un lavoro che – soprattutto in questo momento – molti sognerebbero ma che per me a volte è una gabbia. Perché c’è ancora troppa rigidità nell’organizzazione del lavoro, troppa poca sensibilità e anche poca lungimiranza nel capire che “conciliare” conviene a tutti! (io per esempio alla fine ho strappato un part-time e anche se mi pagano il 40% in meno rendo al 110% sul lavoro e sono più felice). Ecco, forse non ho le palle per mettermi in proprio ma io preferisco pensare che cerco di cambiare le cose “da dentro” e condivido con Flavia l’approcio positivo di non piangersi addosso. Con questo spirito ho fatto anche un blog (http://annazavaritt.blog.ilsole24ore.com) dove il primo intento è di partire dai dati ed inquadrare il problema: non siamo pochi casi isolati di donne che cercano di conciliare casa e famiglia, lo dicono Istat, Eurostat e Ocse. Il problema è amplio e complesso. Conoscerlo, condividerlo e parlarne è già un primo passo avanti secondo me. E devo ringraziare tante “antesignane” come Cecilia Spanu che hanno aperto il dibattito.

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