Le vie del tempo
Oggi sono stata a fare degli esami del sangue dall’altra parte del Mondo, in quella zona della mia città dove sono nata e ho trascorso i primissimi anni di vita.
Ero in anticipo e così mi sono concessa un giro dei ricordi. Con la macchina, senza un caffè nè cibo in corpo mi sono infilata ben dentro agli anfratti della mia infanzia. C’è un nugulo di stradine là che sembrano ferme nel tempo. Hanno nomi magici di colori e pietre preziose e ci sono vecchie case – un tempo sul limitare della città – circondate da giardini rigogliosi e alberi da frutta.
In una di quelle vecchie case abitava la Bassotta, che era la mia amichetta del cuore. La Bassotta prima stava in un palazzo con le sue sorelle e i suoi genitori e poi – dopo che avevano trovato il babbo morto addormentato sul divano – si era trasferita in una di questa case con il giardino e gli alberi da frutto, dove abitava una vecchia zia.
Quando a scuola, me lo ricordo bene, vennero a dirci che il padre della Bassotta ci era rimasto secco, morto e addormentato e facemmo tutti una preghiera per lei e la sua famiglia, ecco io piansi moltissimo. Fu la prima volta che ebbi la vera percezione della Morte nella mia vita, allora piccina.
Perché Papàbassotto c’aveva un bar e ci portava sempre, a me e alla sua bimba, a fare le scorte di caramelle e dolciumi nel grande emporio riservato ai baristi. E ci faceva assaggiare tutte le caramelle e i cioccolatini fiat e anche le gomme da masticare, di quelle che regalavano i tatuaggi di Ufo Robot. Io la prima volta ero rimasta un po’ interdetta, che mamma mi aveva insegnato che rubare è peccato e a catechismo ci dicevano che offende la Madonnina di S.Luca, ma lui – me lo ricordo come fosse ieri – mi aveva guardato con quei suoi occhi lunghi, azzurri e buoni e mi aveva detto che noi non stavamo proprio rubando ma solo assaggiando la merce.
Così quando questo uomo basso dagli occhi buoni si era addormentato per sempre, ecco io ci ero rimasta davvero male. Anche per lei, la mia amichetta del cuore che da quel giorno era diventata meno sorridente.
La casa degli alberi aveva però un bel giardino e noi passavamo i pomeriggi a giocare lì, sul dondolo e al tavolino in legno. La zia ci portava l’orzata e la mamma della Bassotta ci offriva i biscotti.
Stavo bene in quella casa. E ogni giorno quando da quelle vie mi addentravo con mamma verso i giardinetti dove giocavo a calcio con le mie amiche e avevamo fondato la squadra femminile della scuola e mi travestivo anche da Nanni Kuker per indagare su qualche giallo del quartiere, io mi sentivo la Regina del Mondo.
Ai giardinetti avevo imparato ad andare in bici senza le rotelline e mi ero messa, per la prima volta, quei pattini gialli e neri che si allungavano e che erano tanto di moda all’inizio degli anni ottanta.
Si tornava a casa ad una certa ora e mio fratello ed io facevamo il bagno insieme. Una volta che mi ero fatta prendere la mano, avevo deciso che volevo imparare a lavare i panni e ho fatto un esperimento empirico con i capelli di mio fratello e il sapone da bucato. L’ho fatto stendere, in modo che i capelli fossero adagiati nell’acqua e ho cominciato a strofinarli vigorosamente con il Sole Bucato.
Quando mia mamma è arrivata, cantavo “la bella lavanderina che lava i fazzoletti” e il marmocchio stava bevendo tutta la vasca: mi sono beccata una di quelle sgridate che ricordo ancora con terrore, ma non ho più tentato di annegare il secondogenito.
Ma torniamo a oggi e a me, con le mie mani da rettile, un caldo agostano torrido e lo stomaco vuoto che mi aggiro per le vie della memoria e ripenso a queste e ad altre storie e risento il profumo dei biscotti della Bassotta e rivivo i ritmi regolari della vita di fanciulla, gli stessi che mi piace regalare alla frollina che i bambini, io penso, hanno bisogno di luoghi riconosciuti, di facce uguali e di appuntamenti certi.
Sono lì che riassaporo i ricordi con un nodino alla gola che non sono proprio lacrime ma che è tanto vicino ad una sorta di malinconia delle cose perdute, indipendentemente da quel che si è perso, che la mia macchina mi porta direttamente davanti al cancellino della casa della Bassotta.
Al posto del vecchio dondolo in ferro battuto c’erano delle altalene tutte colorate in plastica.
Il tavolo in legno era ancora lì, con una rosa arrampicata sulle gambe. La casa sembrava sempre lei, anche se sono passati più di 25 anni.
Mi sono fermata a guardare. Ho rivisto Panzallaria quando era piccolina e non sapeva dove l’avrebbe portata la vita: in quanti posti e con quanti incontri eccezionali e non.
Ho rivisto la mia barbie e la distesa dei Puffi che collezionavamo io e la Bassotta e la casa che avevo costruito con le scatole da scarpe e di cui andavo molto orgogliosa.
E mentre ero lì che osservavo il passato riflesso nel presente si è aperta una porta. E’ uscita una donna con due bambini.
Due bambini poco più grandi della frollina.
Una donna dagli occhi neri e la bocca lunga. Una donna Bassotta.
A me il cuore ha cominciato a battere all’impazzata.
Volevo uscire, volevo dirle
ehi ti ricordi di me? giocavamo con i puffi e tua zia ci portava l’orzata…ma sono i tuoi figli questi? sai anche io ho una bimba, lei si chiama Frollina. Ho le mani come quelle di un rettile ma non devi avere paura. Sono la mappa della mia vita, insieme ai miei occhi e a questa frangetta che ho tagliata storta. Tu sei bellissima, in tutto il tuo metroecinquanta e con quel sorriso che ora è tornato lungo e pieno come quando ti ho conosciuta, prima che tuo babbo si addormentasse. Chissà quante cose avrai da raccontare, chissà quante persone sono venute e andate e quanti posti hanno visitato i tuoi occhi. La mia memoria è straripante ma c’è sempre un posticino speciale per te e per quegli anni di noi due piccole…
Mi sono proprio emozionata, mi sono. Avrei voluto dirle tante cose.
Le vie del tempo sono percorsi contorti e spesso avvolti nella nebbia, ma in certi punti, del tutto inaspettatamente, si toccano tra loro. Tu non sai mai quando avverrà ma quando avviene devi fare una scelta.
O congiungi i fili e invadi il presente di passato
O guardi da dietro un finestrino e poi riparti.
Ho guardato l’orologio: ero in ritardo per il mio esame. Ho acceso la macchina e mi sono diretta verso l’ospedale.
dimmi che ci torni.
che bello!! Pensa che la mia amichetta del cuore delle elementari ha traslocato senza salutarmi 🙁
io ci tornerei con la Frolli a trovare questa tua amica!!!
…però puoi sempre tornare un altro giorno da lei.
angela
sai Panz, ti ho invidiato un po’ leggendo questo racconto, perche’ tu puoi raggiungere i tuoi ricordi in macchina, da un lato all’altro della citta’. A volte ci penso, e un po’ mi spaventa l’idea che se mai avro’ un figlio/a crescera’ in un posto che non ha nessun ricordo mio ne’ di suo padre. E che dovra’ attraversare il mondo (o mezzo-nel caso del papa’) per andare a trovarli.
Bellissimo questo post! Anche io penso che dovresti tornarci insieme alla piccola frollina, se eravate così amiche, dopo un attimo di inevitabile imbarazzo vi “ritroverete” e i vostri piccoli potranno aiutarvi a rompere il ghiaccio, i bimbi sono molto più spontanei e impulsivi di noi adulti e questa è una delle loro “magie”.