Nonni bisi


Abbiamo avuto un fine settimana intenso: perché frollina sta un po’ meglio.
Inoltre Tino mi ha sequestrato il pc, così non sono riuscita ad aggiornare il blog. Ma stiamo bene. Anche se stamattina mi hanno chiamata dall’ospedale perché uno dei valori di Frollina, allo screening neonatale, è risultato sballato e domani devo fare ulteriori accertamenti.

Sono un po’ preoccupata. Perché è un valore importante rispetto ad una grave malattia ereditaria, ma mi hanno detto che può capitare che ci siano errori, per cui cerco di mantenermi serena.

Così vi racconto della nostra domenica.
Ieri siamo stati a trovare i miei nonni, i bisnonni (o nonni bisi – come si dice dalle mie parti) della frollina.

La nonna è malata di Alzahimer da 10 anni. Ormai passa le giornate a sonnecchiare sulla sedia a rotelle, ma purtroppo è ancora troppo fisicamente sana e si sta trasformando in un vegetale.
Mio nonno è lucido, ma si sta prosciugando con lei.
Perché deve essere dura vedere la propria compagna finire così.

E allora, la nostra visita è stata graditissima a tutti loro.
Perché un neonato porta sempre gioia. Perché frollina era sveglia e si guardava intorno vispa.
Perché mio nonno è molto sensibile e gli venivano i lacrimoni.
Avvicinava le sue manone rugose alla bimba e la accarezzava delicatamente.
Il vecchio e la bambina.
Generazioni che si incontrano.
Mi si è aperto il cuore.

Ha cominciato a sussurrarle paroline dolci, la guardava commosso ripetendo ad oltranza, in dialetto “che bambolina” ” s’è bellina” “quanti capelli”…

la nonna ad un certo punto sembrava aver capito che c’era festa. Ha abbozzato un sorriso o così abbiamo voluto credere tutti.
I nonni bisi.
Il fascino di generazioni che si inseguono. I geni che si trasformano nel tempo e lasciano il loro ricordo negli anni che seguono.
Ottant’anni di ricordi, di storia familiare, di pianti e risate. Tutti concentrati nei capelli dritti di una bimba di 28 giorni.

Mi è venuto in mente il mio di nonno biso.
Un uomo di un tempo. Alto poco più di un metro e 50. Tarchiato. La pelle indurita dal vento e dalla sua vita di contadino.
Due guerre alle spalle.
La prima a 17 anni.
Era uno dei ragazzi del ’99, il mio nonno biso.
Quando è morto, ho scoperto che si può morire. Avevo 8 anni e ricordo il sapore appiccicoso delle mie lacrime e di quelle di mia madre.

Poco prima ci raccontava le storie dei partigiani (lui lo era stato), nel cortile della sua casa.
Poco prima raccoglievamo patate nei campi.
Poi lui se n’è andato per sempre.
Le sue mani rugose non mi avrebbero più accarezzato.
I suoi occhietti piccoli e vispi. L’ignoranza di uno che aveva fatto solo la terza elementare.
La saggezza dell’esperienza.

Ricordo che ci raccontava delle “donne che andavano con i tedeschi” che poi, i partigiani gli avevano tagliato i capelli a zero in segno di spregio.
Visualizzavo ragazze con i capelli a maschietto, che vanno a braccietto con ufficiali crucchi.
Raccontava degli amici caduti.
Ne piangeva ancora, a 40 anni di distanza.

Ci raccontava anche delle cipolle e delle patate però. Ci insegnava a trovare le più grosse, disotterrarle dal terreno perché diventassero cibo.
Io e mio fratello, dopo un po’, ci si stancava.

Allora cercavamo le lumache tra le fragole, ognuno di noi ne addottava una e le facevamo fare le gare sui tombini.
Una sorta di lumacometro da campagna, scommesse incluse!

Il nonno aveva gli occhi e la bocca buoni.
Sua moglie, mia nonna bisa, invece ci faceva paura.
Era altissima e la bocca si cuciva in una smorfia triste. Il tempo, i dispiaceri e forse l’inizio di una demenza che l’avrebbe portata alla morte, prima del marito.

Quella casa di campagna era un regno di magia. le scale in legno. La porcilaia con quell’odore acre. Le galline e le uova.

Tutto il paese sembrava avvolto nel mistero, a partire dal nome: Marmorta.
In quel limbo geografico che è il nulla tra Bologna e Ferrara.
Dove un tempo cantavano le mondine.
Dove mia nonna e mio nonno si sono innamorati.
Mia madre è nata.
Mio nonno biso riposa in quel cimitero.
I vicini avevano un coniglio bianco da accarezzare. E facevano i succhini con la frutta fresca.
Io accarezzavo il coniglio e bevevo i succhini.
Una magia per una bimbetta di città.

Il nonno biso ci insegnava la pietà, parlando delle guerre. Di quel che aveva vissuto e di coloro che erano morti. Il nonno biso ci diceva di stare sempre attenti, che noi avremmo potuto evitare che un domani accadesse di nuovo.
Perché noi eravamo il suo futuro.

Di lui mi rimane un set di lamette da barba del 1919.
E la tessera, la numero 9! del Pci.

Di lui mi rimane un ricordo soffuso che sa di crema al limone e tortellini freschi. Quelli che preparava sua moglie.

Dieci anni fa mia nonna (sua figlia) è entrata in Alzahimer.
Un giorno la stavo portando a spasso sui colli.
Come tutti i malati di questo morbo, ha cominciato a ricordare la sua infanzia.
E allora ho scoperto – inaspettatamente – che il nonno biso non era davvero mio nonno.
Che la nonna bisa fu violentata nell’estate del 28, dal riccone del paese.
Concepì mia nonna.
Il nonno biso era il suo migliore amico.
Pensò di fare cosa giusta riparando al misfatto di quell’uomo. Alla non paternità della mia nonna bambina.
Sposò la nonna bisa. Diede il suo cognome e una dignità alla piccola.

Il mio nonno biso non ritornò mai su quella storia. Per lui la nonna era una figlia. Noi dei bisnipoti.

Ci guardava come si guarda al futuro. Con l’occhio umido e terso della vecchiaia.
Con l’amore che si ha per i nuovi virgulti.
Con la speranza che può avere solo chi ne ha avuta troppo poca.

6 anni fa mi sono fidanzata con Tino.
Il suo cognome, come in una ruota che gira e rigira su se’ stessa, è lo stesso del nonno biso.
Oggi, mia figlia, porta in eredità un po’ di nonno biso.

7 commenti
  1. Labelladdormentata dice:

    Bellisimo post, che mi ha commosso alle lacrime! Io i bisnonni non li ho conosciuti, per questioni anagrafiche, visto che i miei nonni paterni erano entrambi nati a metà dell’ottocento e la nonna materna era del 1902. Ma chissà come è incredibile come nei propri figli si riscoprano somiglianze inaspettate, aspetti del carattere che richiamano le generazioni passate.
    E poi i tuoi ricordi della campagna assomigliano tanto ai miei, la nonna ci portava dai suoi cugini a Castenaso. Adesso lì vicino c’è Il Resto del Carlino….

  2. Anonymous dice:

    Bellissimo post, davvero. Amelia di nonni bisi ne ha due: una, da parte di Mignolo, molto fredda nei suoi confronti e l’altro, da parte mia, che invece l’adora e la fa ridere. Io temo che Amelia non arriverà a ricordarsi del suo nonno bis, che non è tanto vecchio ma un po’ malandato, ma spero tanto che le rimanga un po’ dell’allegria e dell’ingenuità che lui cerca di comunicarle.
    Un bacione
    Chiara

    PS: insomma, però adesso basta! Facciamo cambio: io ti faccio piangere e tu mi fai ridere 😉

  3. lucilla dice:

    panzamammina, oggi m’hai commossa. e siccome sono un’ingrata per ricompensarti ti costringo alla catena di santo antonio che trovi sul mio blogghe, sei esplicitamente menzionata

  4. aidi dice:

    ho stampato quest’ultimo post e l’ho lasciato molto poco casualmente sul divano di casa. il risultato è stato che mia madre ha pianto, la sua amica artista (pittrice e scultrice molto brava) ha pianto, e si è levato un coro di “Libro! Libro!”. chissà, magari un giorno accade davvero.

  5. Cathtrine dice:

    Frollina, ha un viso da mignon alla crema, e si chiude tra le mani adulte di mamma.E’ davvero bellissima piccola e perfetta.
    Baci Cat

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