L’angolo della digestione difficile: partecipanza ed impegno
In questo post cercherò di essere seria; alcuni eventi, letture del week end e considerazioni personali mi impongono un momento di riflessione: non vi preoccupate, sarà solo un momento, anche perché non ho nessuna intenzione di ammorbarvi con soliloqui evanescenti; non è la scelta che ho fatto con Panzallaria.
Panzallaria dovrà ammorbarvi con aneddoti tra il reale e il fantastico, soliloqui di una cicciona che ha scelto di spendere meno aprendo un blog che andando dallo psicanalista.
Anzi devo dire che nella prima settimana di apertura di questo spazio, mi hanno già scritto messaggi e mail un sacco di persone che non ho trovato niente male nemmeno come psicanalisti, in quanto ad arguzia dei consigli! ;-).
Ma tornando alle mie “difficili digestioni” oggi, in questa giornata nevosa (che bella la neve!) non posso fare a meno di pensare a un fatto accaduto nella mia città – lo stupro di una ragazza – e a come girano le cose italiane ormai da lungo tempo.
Partiamo dagli eventi locali: una ragazza è stata trascinata in un parco della periferia dopo essere scesa da un autobus ed è stata stuprata. Pare che la vittima di questo orribile fatto, mentre veniva costretta ad appartarsi, abbia invano tentato di attirare l’attenzione degli automobilisti che hanno proseguito senza fermarsi.
Premetto che non so decidere se per menefreghismo o perché realmente non abbiano visto la scena (quella sera piovigginava e c’era nebbia), l’accaduto ha scatenato, oltre che per la barbarie del gesto in se’, la deprecazione dei media e dei politici del momento per l’apparente indifferenza dei passanti in una città, da sempre famosa per la qualità della vita.
Io, per natura e per empatia, sto di certo dalla parte di una ragazza che ha subito una violenza orribile, di quelle credo difficili da dimenticare. Ma non posso fare a meno di pensare, con dolore, anche alla debolezza delle nostre società, al sottile confine tra civiltà e individualismo che spesso porta ad una vita in solitudine anche in luoghi popolosi e apparentemente sicuri.
Non posso fare a meno di pensare alla rabbia di questa persona e della sua famiglia, catapultata in un incubo da cui, nessuno, è riuscito (o ha voluto ?) tirarla fuori.
Non posso non pensare a Cofferati, il Sindaco di Bologna e alle sue recenti proposte e azioni, in termini di legalità.
Il Cinese ha recentemente detto che la mia città ha una “lunga tradizione di solidarietà e legalità” che vanno di pari passo.
Fermo restando che nell’evento specifico (sto per dire una banalità) non c’è ne’ legalità ne’ solidarietà, mi chiedo cosa cavolo significhi questa lunga tradizione oggi, se ognuno coltiva il proprio orticello e muove il culo solo quando a farne le spese è il proprio giardino.
Me compresa.
E soprattutto, la solidarietà non dovrebbe partire dal riconoscere le cause di un malessere che si va diffondendo, invece di curarne gli effetti? Penso ai figli che voglio e che spero di avere: sono prprio sicura che un domani non dovrò vergognarmi quando uno di loro mi chiederà:”e tu, cosa hai fatto per tutto questo?”.
Mi ci ha fatto pensare una persona che stimo molto e conosco da poco, che – malgrado la lotta contro una grave malattia – per il futuro dei suoi figli ha deciso di impegnarsi politicamente (nel senso più vero del termine).
Partecipo/-amo poco alla vita della nostra città, subendo decisioni che non condividiamo ma che ci riguardano e, anche quando non ci sembra che sia così, avvalliamo la noncuranza verso tutta una serie di eventi che un domani potrebbero veramente tornarci indietro come un uragano.
Il nostro disimpegno, il mio, equivale a renderci tutti automobilisti, in una sera di inverno, in una periferia qualunque, mentre un uomo qualunque violenta una ragazza qualunque. Tutti nelle nostre macchinine, col solo pensiero di tornare a casa, al caldo, a guardare un film e a riposarci dalla lunga giornata lavorativa. Non importa se in quel particolare momento non abbiamo visto perché pioveva o c’era nebbia, di fatto siamo TUTTI complici di eventi che non abbiamo mai voluto considerare come effetti di un lungo percorso verso la non partecipanza, ma solo come casi “eccezionali”.
L’eccezionalità ci renderà tutti orbi, bisogna cominciare a fare i conti con la normalità e corregerla, prima di tutto in noi stessi. Almeno questo è quello che penso, sempre di più.
Passando alle cose dell’Italia, ieri ho letto un articolo, veramente molto bello, di Tahar Ben Jelloun su Micromega n.6 del 2005: Uno di noi.
L’ articolo è stato scritto in occasione del trentennale della morte di Pasolini e l’autore, con uno stile chiaro e diretto, immagina un’Italia in cui Pasolini vive ancora. Cosa avrebbe potuto scrivere Pasolini sull’Italia berlusconiana? Sarebbe riuscito a smascherare il mondo che il Cavaliere rappresenta?
Mi sono accorta, leggendelo, di avere dentro una grande rabbia contro gli intellettuali italiani attuali, anche quelli che amo. L’intellettuale non dovrebbe ragionare sul mondo, smascherare il velo di ipocrisia del potere e agire per denunciare e sovvertire uno stato di cose malato?
Oggi, in questo stato di banane, quanti sono gli intellettuali, così come era Pa’, in grado di provocare quel senso di straniamento così forte da palesare l’assurdità della realtà in cui viviamo?
Qualcuno ci ha provato, con i girotondi, con le manifestazioni, ma poi, dopo una prima ventata di entusiasmo a me sembra che tutto si sia di nuovo normalizzato. E intanto il berlusconianismo impera e naturalizza nello stile di vita di tutti, entra nella sinistra spettacolarizzandola, e se ne gira indisturbato per il mondo, giullarizzando discorsi politici internazionali e trasformando ogni esternazione pubblica in discorso elettorale.
Ormai ci siamo tutti abituati alle “barzellette” di Berlusconi, alle sue boutades in presenza dell’Imperatore Bush e alla cricca di vergognosi e vilipendiosi soci di cui si attornia.
Chi di noi non ha pensato, quando si iniziava a parlare di Aviaria, che non fosse altro – come al solito – che un modo per tenerci tutti terrorizzati nelle nostre case?
Chi non ha sorriso, in mezzo all’amarezza, per quel che il Premier ha riferito degli ultimi suoi “discorsi amorosi” con Bush?
Barthes nei “Miti d’oggi” scriveva che basta urlare forte e un gran numero di volte una cosa perché la gente cominci a crederci, perché si perda il valore semantico (spesso assurdo) della cosa detta e quella sembri vera.
Ecco, ci sono giorni in cui mi sveglio e mi sembra di sentire tutti urlare forte e mi fa una gran paura; mi fa una gran vergogna; mi fa un gran schifo.
Ma come scrive Ben Jelloun nell’articolo di Micromega, non è tanto Berlusconi e i suoi lifting che mi spaventano, quanto tutti quelli che ci credono e tutti quelli che, non credendoci, non fanno nulla.
Insomma, a volte anche uno stomaco di ferro come il mio, fa una gran fatica a digerire certi cibi così invitanti e tanto avariati! 😉
Scusate la blog-orrea
Credo che in realtà i due eventi che descrivi siano strettamente correlati; e il trait d’union (scusate il parolone) è rappresentato da un dato che, da sfiduciato e disilluso quale sono diventato, ritengo possa essere costitutivo dell’uomo (inteso come essere umano).
Anche per causa di una forte e assai spiacevole esperienza personale, mi sono reso pienamente conto di quanto sia vero ciò che scrivi a proposito di: “se ognuno coltiva il proprio orticello e muove il culo solo quando a farne le spese è il proprio giardino […].
Partecipo/-iamo poco alla vita della nostra città, subendo decisioni che non condividiamo ma che ci riguardano e, anche quando non ci sembra che sia così, avvalliamo la noncuranza verso tutta una serie di eventi” eccetera.
Penso che gli eventi piccoli, quelli della nostra vita personale, siano uno specchio di quelli più grandi, che riguardano la politica del Paese e i suoi vari accadimenti.
Perché alla base di tutto rimane la stessa cosa: l’uomo. O meglio, gli uomini.
Cosicché, un pezzo di merda egocentrico e senza scrupoli o veri sentimenti verso il prossimo, e affascinato morbosamente dal potere e dalla sua gestione (piccolo o grande che sia, dato che in questo discorso ciò che conta è per così dire il dato strutturale), ha potuto, “urlando assurdità semantiche”, fare i propri comodi perpetrando del male ad altre persone con il plauso e la connivenza di altri per interesse, o l’indifferenza di terzi che pure erano coinvolti.
Non so quale delle due posizioni sia peggiore, ma penso presumibilmente la seconda, perché è proprio quando si avvallano, tacitamente o meno, delle situazioni o degli atteggiamenti di cui nel profondo del nostro cuore riconosciamo l’ingiustizia, è proprio in questo preciso momento che permettiamo alle cose di andare nel verso sbagliato, che lasciamo che le merde vincano. (Ma forse qualcuno, in questi casi, preferisce rigirare la questione prospettando e sventolando la bandiera del manicheismo, accoccolandosi pertanto nell’alibi del relativismo, che, per sacrosanto che sia, troppe volte fa troppo comodo, e soprattutto non vi si crede affatto.)
In queste circostanze, inoltre, penso che non valgano a nulla le cosiddette buone intenzioni (di cui è lastricata la strada per ogni inferno), né valga l’incoscienza, il non rendersi conto.
Perché ognuno di noi, in realtà, credo che possa possedere, o procurarsi, i mezzi per aprire gli occhi: ma semplicemente non lo vuole fare. (Va bene, per qualcuno è in effetti molto difficile entrarne in possesso…).
E ritengo stia proprio qua il punto, che la maggior parte delle persone si rifiuta di prendere coscienza, di ragionare con lucidità e mettendo da parte il proprio orgoglio e il proprio sé nell’ascoltare gli altri, perché il farlo significherebbe assai probabilmente mettere in discussione (anche continuamente!) un’intera vita, esteriore e soprattutto interiore; significherebbe permettere al mondo di crollare sotto i propri piedi, rimanere per un buon periodo di tempo senza agganci, subissati e come sommersi dalle proprie paure e dai propri dubbi.
Non credo, allora, che vi sia mancanza di intellettuali, quanto assenza di ascoltatori.
Concordo che questa sia un’operazione assai difficile e dolorosa, specie per chi risulta insicuro e fragile. Allo stesso tempo, però, penso riesca egoistico il chiudersi in sé e rifiutarsi di affrontare la questione, per quanto lo si possa fare senza rendersene conto.
Dunque, in sostanza, credo che sia precisamente da questa contraddizione profonda che l’essere umano non riesca ad abdicare, forse addirittura per un suo dato costitutivo, come dicevo all’inizio. Secoli, o meglio millenni di storia, stanno là ad ammonirci e a dimostrarlo, in barba a tutte le visioni teleologiche (altro parolone, scusate di nuovo).
In attesa, appunto, di un nuovo, ciclico, “uragano”.
Capitan Carlock